God Bless America. Negli Stati Uniti più che una benedizione è un sottofondo costante e confortante al quale non si fa quasi più caso. Accompagna la fine di quasi ogni dichiarazione ufficiale, lo dicono i Presidenti in chiusura di discorsi e comizi, ma anche i giornalisti, gli attori, i cantanti. È una richiesta a un dio laico per una benedizione che attraversa tutte le religioni e protegge tutti i cittadini.

Il valore che gli viene assegnato è direttamente proporzionale alla persona che lo pronuncia, così come l’attenzione che ottiene da chi ascolta. Posso pensare a pura ipocrisia quando lo pronuncia un presidente che non ha fatto nulla per tutelare gli americani dallo tsunami del virus, e posso commuovermi e capire la profondità di questa invocazione quando lo pronuncia un governatore che si sta facendo un quattro per aiutare la sua città e il suo stato. God bless New York.
Nel nostro Paese, dove un politico può appropriarsi senza vergogna del rosario o di una preghiera, quello sì come uno slogan che non trasmette nulla e non rappresentare alcun valore, non dico cristiano, ma neanche di comunità o di solidarietà, mi piacerebbe avessimo una frase equivalente, un semplice Dio benedica l’Italia che potessimo usare tutti in questo periodo di buia incertezza, per invocare un comune denominatore cui tutti, credenti in qualsiasi dio e non credenti, potessimo affidarci per invocare uno stesso desiderio – di guarigione, di rinascita, di un fine ultimo che tutti vogliamo.
E allora God bless Italia: un augurio a tutti noi di lavorare insieme, di aiutarci, e di imparare dagli errori commessi prima e durante questo flagello, e di uscirne migliori. Non dovremmo lasciare questo compito solo a un uomo solitario in una piazza bagnata dalla pioggia…
