Fase 2, strategia 0

Non si tratta della lentezza nella riapertura, ma della mancanza di una comunicazione efficace e di un per convivere e “ballare” con il virus

Nessuno si aspettava la soluzione alla crisi sanitaria ed economica. Nessuno si aspettava una grande riapertura. Nessuno si aspettava di poter organizzare cene e feste in allegra compagnia. Nessuno si aspettava il Libera Tutti.

Lo sanno anche i sassi ormai che la vita non tornerà alla normalità finché non ci sarà il vaccino (o una cura miracolosa). Il messaggio è stato recepito dagli italiani. Siamo stati in casa salutandoci dai balconi, abbiamo lavorato al tavolo di cucina, fatto la fila in farmacia, imparato a usare Zoom per fare lezione e fatto i compiti con i nostri figli, ci siamo laureati via Skype, fatto la fila al supermercato, costruito mascherine di stoffa, imparato a salutare i nonni e gli amici via Skype, e fatto un’altra fila. E questa è stata la parte facile per la maggior parte dei cittadini. 

Molti altri hanno rischiato la vita negli ospedali. Moltissimi hanno lasciato la loro vita negli ospedali, da soli, e moltissimi vivranno per sempre con il ricordo di una persona amata morta da sola. E tantissimi altri stanno vedendo il sogno di una vita scivolare via – un lavoro indipendente che non esiste più, un negozio chiuso, progetti saltati, risparmi svaniti. 

Il virus nuovo, i cinesi, l’OMS, le protezioni che non c’erano, la crescita esponenziale del contagio, terapie intensive al collasso… Il lockdown dunque, per appiattire la curva, salvare vite umane, e preparasi a convivere a lungo con questa pandemia: la martellata che serve per preparaci alla lunga danza con il virus, secondo una formula molto citata.

Il lockdown è stata una misura dolorosa ma necessaria per l’Italia di inizio marzo (possiamo parlare degli errori fatti, dei ritardi, della comunicazione disastrosa); non credo che stiamo scivolando in uno stato di polizia, e trovo tutti gli allarmi in proposito fuori misura (e un insulto a tutti coloro che vivono il vero terrore di uno stato totalitario); scaricherò una app per tracciare i contagi, senza timore per la privacy (ma solo se mi fa apparire in carne ed ossa la Santa Trinità – vedi sotto).

Ma il 26 aprile 2020, nel discorso che doveva sancire la ripartenza del Paese dopo quasi due mesi di chiusura, l’Italia che aveva appena finito di cantare Bella Ciao sui balconi, con il tricolore ancora appeso, aveva il diritto si sentire parole serie, preoccupate sulla base dei dati (ancora molti i contagi) ma speranzose sulla base degli stessi dati (diminuzione dei contagi, dei malati in terapia intensiva). Essere rassicurata sulla validità della martellata – che tanta sofferenza ha causato – e illuminata sul piano di passaggio alla Fase 2 – sulla base di quale strategia e questa visione per convivere con il virus. 

Ma se una martellata può essere impartita a furore di decreti, la danza deve essere preparata con cura, preparando i passi necessari, modulando la musica, aggiustando il ritmo alle forze e alla resilienza dei ballerini impegnati, cambiandolo passo quando si arriva a un certo livello… Ci vuole una visione, una squadra, un direttore d’orchestra che spiega e convince.

Conte ci ha fatto tragicamente capire che non abbiamo nulla di tutto questo: siamo arrivati alla vigilia della danza impreparati, così come siamo entrati nella pandemia – impreparati con 26mila morti in più e il 10% di PIL in meno.

Credo che questo fosse il discorso più importante di Conte dall’inizio dell’epidemia, e forse della sua inconsueta carriera politica. In molti abbiamo compreso i tentennamenti iniziali, le difficoltà di attuazione, il caos dei primi giorni. (Ma attenzione: comprendere non vuole dire dimenticare o azzerare le responsabilità. Vuol dire sapere che all’inizio di una novità assoluta si tentano strade nuove, ci si inceppa, si riparte.)

Per questo il discorso era importante – per segnalare di aver capito gli errori e di poter adesso indicare come accompagnare una nazione attonita mentre muoviamo i nostri primi passi di coronadance.

Invece, oltre a ribadire divieti, ricordarci l’uso della mascherina, e farci correre a vedere chi (secondo lo Zingaretti? O il codice civile?) è considerato un congiunto, ha detto poco, pochissimo. Anzi, nulla.

Una gravissima mancanza su tutte – la scuola, neppure nominata, discussa solo in risposta a una domanda. Lo sapevamo già, che non riaprono, e ce siamo fatti una ragione (i danesi avranno anticorpi diversi dai nostri e un corpo insegnante più giovane). Ma neanche nominarla, neanche un segnale che qualcuno si sta occupando, come priorità assoluta, di tre urgenze: come aiutare gli studenti da qui a giugno (soprattutto quelli lasciati indietro dalle lezioni online); di come recuperare, possibilmente in estate, mesi perduti di educazione e socialità; e di come ripartire a settembre (possibilmente prima?) Anche solo un invito, alle diverse regioni, di pensare a idee innovative, fatte su misura per le diverse situazioni locali (scuole grandi, piccole, rurali, cittadine, con le mense, senza le mense, omogenee, non omogenee) sottolineando che, in una fase di emergenza assoluta, nessuna idea che mette i ragazzi al centro verrà scartata, nessuna opzione lasciata cadere – un whatever it takes per le nostre future generazioni – anche per prepararsi alla possibilità si una seconda ondata.

Neanche una parola su come i genitori che torneranno a lavorare tra il 4 e il 18 maggio possono farlo senza che i figli vadano a scuola. “Stiamo cercando di mettere a unto ulteriori misure” vuol dire non avere nulla di concreto a una settimana dal ritorno fuori casa di milioni di lavoratori.

Non una parola sul futuro prossimo venturo della sanità – affermando ad esempio anche l’ovvio, che occorrerà sostenerla e rafforzarla per la fase due, per il monitoraggio del virus sul territorio, per dare a tutti i medici di base i dispositivi di protezione per se stessi e i dispositivi per salvare vite umane (saturimetri, ossigeno, telemedicina), come pianificare la creazione di ospedali COVID, in quali zone. 

E silenzio assoluto su test, tracciamento, isolamento – la Santa Trinità che i virologi ed epidemiologici di tutto il mondo ci dicono – da mesi – che deve assolutamente essere attiva durante la fase due (è anche uno dei cinque punti del nostro ministero della sanità per ripartire in sicurezza – di questi le uniche parole sono sul distanziamento sociale). Dobbiamo continuare a crederci ciecamente in questa Santa Trinità e ad invocarla, o prima o poi si farà carne ed ossa con un tampone in mano, un’app-arizione sui nostri cellulari, e un luogo dedicato per un vero isolamento?

È risaputo che i tamponi, i reagenti, i test sierologici sono scarsi. Tutti fanno fatica a procurarsene. Ma non parlarne significa far finta che il problema non ci sia, e, in modo ancora più preoccupante, che non si ha un piano per ovviare a questa mancanza (dobbiamo avviare la produzione noi? Ci sta pensando l’Europa? Continueremo ad affidarci alla produzione cinese e a tutti i problemi che comporta?) Come possiamo usare al meglio i test che sono già a disposizione fino a quando ci saranno tutti quell che ci servono per “testare tempestivamente tutti i casi sospetti,” un passo necessario per passare alla Fase 2 secondo come l’allegato 10 del decreto del 26 aprile.

Evidentemente chi ha preparato questo allegato crede che esistano dei vaccini non sicuri (e non sa come si scrive efficace) Lo stesso allegato dovrebbe mostrare “i principi per decidere un aggravamento del rischio sanitario e, in caso, nuove chiusure.” Attendiamo i criteri del ministero della Sanità, che ha cinque giorni di tempo per emanarli.

Ammonire per decine di volte che non si tratta di un “Libera Tutti” serve solo a irritare 60 milioni di cittadini che non lo chiedevano e non lo aspettavano, soprattutto senza indicazioni su come proteggere i più vulnerabili – gli anziani, i malati, il personale sanitario.

Inoltre, non riconoscere le differenze tra regioni significare fare finta che non ci siano diversi gradi di contagio e dunque realtà che hanno bisogno di approcci diversi – sotto lo stesso ombrello della sicurezza e del distanziamento sociale ci possono essere molti modi di operare.

Ci saranno ancora medici e infermieri eroici, insegnanti che andranno bel al di là delle loro capacità per tenere alunni impegnati e interessati, genitori che faranno salti mortali per aiutare i figli, vicini che faranno la spesa per gli anziani, volontari che doneranno tempo e denaro.

Sapremo cosa fare come individui, ma non sapremo come, o se, il paese terrà il passo in questa danza inevitabile con il virus. Non lo sappiamo perché, nel momento in cui ce lo aspettavamo, ci è stata fatta una lista di divieti invece di comunicare con onestà, chiarezza, e dati alla mano.

Non è andato tutto bene, e non sappiamo come andrà avanti.

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